lunedì 14 gennaio 2008

Capitolo 1 - "Mia madre fa la giocoliera"


Capitolo 1
"Mia madre fa la giocoliera"


Contro la mia volontà mi ritrovai al numero 72 di Via dei Pittori: Belleville, come la chiamavano da un po, ma scoprii solo in seguito il perché, i suoi abitanti. Gli epiteti del resto della città erano ben altri.. Tant'è, entrare lì era come attraversare una porta spazio tempo verso un mondo parallelo in cui qualcosa, a mio modestissimo avviso, era andato storto.. non c'era altra spiegazione.. Ma andiamo per ordine. Cominciò tutto un giorno, come nella fiabe, 'c'era una volta una strega cattiva'.. insomma, mia madre quando doveva darmi una brutta notizia approfittava sempre dei primi minuti del mio risveglio, in quella fase della mia giornata in cui lentamente mi riapproprio della percezione di me stesso - chi sono? dove sono? voi chi siete? che volete da me? - e delle facoltà motorie essenziali - camminare in linea retta, vedere gli oggetti in maniera nitida, ecc.. .
"Andiamo a Belleville, ci trasferiamo nella casa dei nonni" - mi disse mia madre che scorgevo con il mio solo occhio semiaperto.
"Eh... !? Ma chi? Cosa? Quando? Ma chi l'ha detto?".
Sto ancora sognando.. è evidente.. figurati, Belleville. Quasi quasi rimpiangevo i miei due peggiori incubi ricorrenti, uscire di casa senza scarpe e dimenticarmi dell'interrogazione di italiano. Per fortuna è solo un sogno pensai. Almeno è quello che credevo..

Così, incurante di tutto e di tutti, cominciai come d'abitudine la lunga marcia che ogni mattino mi portava dal letto alla macchinetta del caffè. Come sempre, le ciabatte mi si infilavano, non so spiegare esattamente come, ai piedi e le pareti mi accompagnavano verso la cucina, intanto prendevo le sigarette sul portachiavi e via.. il solito teatrino, meccanismi collaudati da anni. Il "Buongiorno" di papà.. e il mio "Oh"... il "Buongiorno" di mamma e di nuovo un mio "Oh mà.." al quale contestualmente le mie gambe capivano che dovevano accelerare il passo prima che ella potesse cominciare la sua interminabile sfilza mattutina di precetti, domande, raccomandazioni. E nel frattempo il mio cervello si riscaldava e rielaborava le informazioni essenziali, nome, cognome, età, data, città. Cose da fare, pulire macchinetta senza sapone, inserire prima l'acqua solo poi il caffè, chiudere macchinetta, accendere gas, andare in bagno e fare pipì, centrare il cesso, lavare le mani, prendere tazza, latte, zucchero, cucchiaino, cornetti, accendere tv. Sedersi e aspettare le dolci note dell'acqua che salendo lentamente dal serbatoio verso la polvere si trasforma magicamente in caffè.. "Buongiorno" e di nuovo un "Oh" e tirare dritti verso la terra promessa.. caffè, caffè, caffè, caffè.. aspetta.. Tre "oh".. che cavolo succede? Deve esserci un errore. Ripercorsi mentalmente tutti i passaggi. Ho fatto tutto bene, non mi dimentico nessuno.. No no, tutto ok, andiamo verso il caffè. "E' proprio una bella giornata oggi". Ancora quella voce.. Ma che diamine succede? Pensai ancora.. Così mi voltai e si materializzò davanti a me una figura dai contorni incerti.. un paio di occhiali con montatura spessa, una giacca rossa, fastidiosissima la mattina presto. L'unica cosa che vidi bene fu la scritta Traslochi. Traslochi... Traslochi... Mh.. Chi trasloca? Oh merda... Nooooo!
Nemmeno due settimane dopo ero dentro la macchina, tra lo scatolone degli addobbi di natale e quello delle vecchie scarpe di mia madre. Le cose non erano andate bene, mio padre aveva perso il lavoro, la casa pignorata, le solite cose di un epoca maledetta. Ed eccomi, quindi, in viaggio forzato verso la vecchia casa della fu-mia-nonna, una borghese decaduta, esemplare tipico della città, che ci aveva lasciato in eredità questa sorta di mini appartamento, terra cielo, più terra che cielo, di cui forse nemmeno papà si ricordava. Il trauma del distacco dalla terra natia fu nulla rispetto al mio ingresso a Belleville. Un'entrata in grande stile... Traslocammo all'alba, e Belleville era semivuota, ma abbastanza piena per intuire in che razza di posto ero capitato. All'ingresso di Via Romana, attraverso cui si saliva verso il cuore del quartiere, un cartello dava il "Benvenuto a Belleville", alla base dello stesso era disteso un vecchio con un paio di mutandine viola in testa. Un brivido mi salì lungo tutta la schiena, una serie di deliranti cartelli pubblicitari attirarono la mia attenzione: Fat Kun Do Body Jim, una versione per persone robuste del karate di Bruce Lee supposi. E ancora, un enorme piatto di tagliatelle al pomodoro con sopra impressa la scritta "Chinese people do it Better!" e l'indirizzo di un ristorante... Intento ad immaginare come dei cinesi potessero farle meglio le tagliatelle, non mi resi conto che avevamo già superato Via Romana bassa, al termine della quale si dipanava il dedalo di viuzze di Belleville. Arrivati in una piazza San Pietro pressoché deserta non potei fare a meno di notare una riunione di ambulanti, ognuno con il proprio chioschetto di mozzarelle in carrozza da trascinare. Non credevo ai miei occhi.. e infatti li chiusi, avevo già visto abbastanza..
Li riaprii poco più tardi, arrivati al numero 38 di Via delle Streghe. Via delle Streghe.. il nome non prometteva nulla di buono. Il camion con la nostra roba era già lì ad aspettarci e anche davanti la vomitevole porta in velluto rosso della palazzina affianco c'erano dei mobili, un tavolo, qualche sedia, una poltrona, un piccolo mobile.. Forse è stagione di traslochi. Solo dopo capii che quell'apparantemente caotico assembramento di mobili era invece la dependance estiva dei nostri vicini di casa. Usanze di Belleville.
Due piani, uno seminterrato con cucina e sala, e al primo piano una camera semimatrimoniale e un bagno, con un balcone vista strada. Era questo il fantomatico lascito della nonna, il nostro nuovo tetto finché papà non avesse sistemato i problemi a lavoro. Erano tutti indaffarati nel recuperare le proprie cose. Anche io ero ben intenzionato, se non altro per un po non avrei pensato al mondo dov'ero capitato. Peccato che la camera per me non c'era. I miei mobili li avrei ritrovati qualche giorno dopo al mercato rionale, intanto io e i miei ricordi ci saremmo accomodati nella sala, la mia nuova camera per un pò. Ero intento a decidere cosa salvare quando mi sentii strattonare la camicia da dietro. Un bambino bassetto, di 7 8 anni credo, con degli assurdi pantaloni con le bretelle, appena uscito da un romanzo di Dickens, mi guardava con la faccia di chi aveva visto uno scemo alle prese con il suo primo giorno di scuola.
"Che c'è?" - gli dissi, ma non rispose. Così lo ignorai, cercando di concentrarmi sulle mie cose ma percepivo che il tipetto continuava a fissarmi.
"Cos'è? Non ce l'hai una madre? Va da lei no?".
"Mia madre fa la giocoliera". Furono le prime parole che sentii pronunciare a Belleville.
"E allora vai a giocare con la mamma" - replicai.
"Mia madre gioca solo con gli adulti" - rispose il bimbetto - "lì, in camera sua, guarda".
Rimasi inebetito, non avevo ben capito, o meglio si, purtroppo si. Il mio primo contatto umano a Belleville fu con un bimbetto di 7 anni, mio dirimpettaio, che mi aveva appena spiegato che sua madre faceva la puttana.
"Ah.. la giocoliera, certo..".. Prima che facessi in tempo a mortificarmi con lui e a chiedergli notizie del padre uno strano tipo sbucò dalla porta della palazzina del bimbetto. Indossava un elegante vestito di velluto, in realtà un pò sgualcito, con tanto di gilet e orologio da tasca in mano. Ai piedi un paio di ciabatte. Lo fissai per un pò mentre ero piegato a raccogliere uno dei miei scatoloni con dentro i vestiti. "Good morning" mi fece. Ma io non ebbi la prontezza di rispondergli.
"Quello è Lord Forsbury" - disse il bimbetto. "Stagli alla larga, è un tipo strano".
Ah si? Pensai.. chi l'avrebbe mai detto.. "Lord chi? Ma perché veste in quel modo? E dove va con indosso un paio di ciabatte?" chiesi. "E' un famoso esploratore, ma adesso sta solo andando a fare colazione". Che strane persone. Feci un grosso sforzo di pazienza e continuai a cercare le mie cose, quelle poche che potevo prendere con me. Finalmente entrai nella casa. L'ingresso dava subito sul salotto, ribassato di tre gradoni rispetto al livello della strada. Sullo sfondo si scorgeva in la cucina posta su un piano rialzato e con una sorta di ringhiera a dividerla idealmente dalla sala. Sotto la ringhierina un divano con di fronte una grande libreria, e sulla sinistra un caminetto. Nell'altra metà del salotto un tavolo per mangiare, ancora una libreria intorno alla parete e nell'angolo in fondo a sinistra guardando dalla porta una scala a chiocciola che portava al piano di sopra. L'unica finestra era sulla destra, appena entrati, e più che a far entrare la luce da fuori sembrava utile a guardare da dentro i passanti.. Posai la mia roba nei pressi del divano. La casa era messa male, le ragnatele abbondavano e il puzzo di chiuso era fortissimo e un consistente strato di polvere copriva ogni centimetro quadrato della mobilia. Decisi di dare una pulita, non prima di aver dato uno sguardo al piano superiore dove i miei già erano in avanzata fase di sistemazione. La camera era bella e spaziosa. Il bagno era oltre la camera da letto e questo significava che oltre a non aver un letto, avrei dovuto fare a meno anche di un bagno se non volevo disturbare ogni volta i miei. Il balcone era piccolino, un po' pericolante e di fronte c'era la camera della giocoliera.. supposi... La mia prima giornata a Belleville la passai quindi barricato in casa, intento a dotarmi delle condizioni igieniche minime per passarci il minor numero di notti possibili. Una forma acuta di mutismo si era impossessata intanto della famiglia. Nessuno parlava, nessuno commentava. Ognuno sapeva esattamente cosa pensava l'altro ma più che altro eravamo assorti nei nostri pensieri. Come siamo capitati qui? Che c'entriamo noi con questo posto? Mia madre accennò appena una cena, nel frattempo mio padre aveva sistemato tv e io avevo preparato il mio giaciglio. Stanchi morti e affranti ce ne andammo a dormire o almeno, per quanto mi riguarda, era questa l'intenzione. Fu, infatti, una notte travagliata. Mi sentivo un pesce fuor d'acqua in una nuova casa, e in questa situazione. Ogni scricchiolo, ogni piccolo rumore, ogni vociare che perveniva dalla strada mi faceva sobbalzare sul divano, mi si stringeva il cuore in gola e il battito cardiaco accelerava fortemente. Rimasi sveglio a lungo, accesi la luce, fumai qualche sigaretta mentre davo uno sguardo a la libreria della nonna, che era alquanto surreale anch'essa. File di libri a me sconosciuti riempivano gli scaffali. Non resistetti alla tentazione di prenderne in mano alcuni dal titolo davvero curioso. Una “Guida dello studente dell'Università della risata di Belleville”, o una “Storia della corsa coi sacchi”. Verso le tre finalmente il sonno e la stanchezza cominciarono ad avere il sopravvento sul panico di quella prima notte. Mi infilai sotto le coperte, non prima di aver controllato per l'ultima volta la se ci fossero animaletti vari in giro per il mio letto. E non prima di aver fatto tanti pensieri su questa mia nuova situazione. Quanto sarebbe durata? Cosa avrei fatto? Cosa ne sarebbe stato della mia vita di tutti i giorni? Il lavoro al Municipio, la mia compagna, i miei amici. Mi addormentai lentamente e con la testa piena di pensieri, stanco, spossato, soprattutto con un profondo senso di impotenza ed inadeguatezza che erano le cose che mi facevano più paura. Finalmente mi addormentai con l'incognita di un risveglio sconosciuto.

1 commento:

ov.ver.ov ha detto...

oh, il primo incontro è fenomenale.
...un bimbo e sua madre che gioca con i grandi...

Geniale, quando arriva il secondo?